Amanda e Raffaele.
Da qualche giorno, a dominare i palinsesti dei telegiornali nazionali ci pensano loro, due nomi che volenti o nolenti abbiamo dovuto imparare, martellati come siamo dalla triste vicenda che li riguarda.
E, in sordina (perché i morti e i negri non hanno la stessa dignità di una giovane rampolla WASP statunitense e del suo acculturato compagno, per loro non si muove il Dipartimento di Stato americano) Meredith e Rudy, comprimari involontari di questa turpe storia della provincia italiana.
C’è però, in questa ossessiva ricerca del dettaglio morboso capace di trasformarci tutti in Hercule Poirot della domenica, buoni a sputare sentenze e contrabbandare le nostre verità la sera a cena o con gli amici al bar, un’altra vittima innocente, colpevolmente ridotta al silenzio mediatico (e quindi all’oblio); un processo.
Si, un processo, o meglio una sentenza, emessa dal tribunale di Firenze non più tardi di due giorni fa; la condanna all’ergastolo del boss di Cosa Nostra Francesco Tagliavia, in merito alla sua partecipazione alle stragi di mafia del1993 a Firenze, Roma, Milano.
Direte voi, il ’93 è cosa vecchia, son passati quasi vent’anni, come si può pretendere che la gente ancora si ricordi di quei fatti (e segua un processo del genere)? Meglio la cronaca esasperata dei piccoli orrori contemporanei, questo è giornalismo che “sta dietro” alla notizia!
Già.
Peccato che quella maledetta notte del 26 maggio ’93, a Firenze siano morte cinque persone. La vittima più giovane aveva 50 (cinquanta!) giorni di vita; si chiamava Caterina Nencioni, e con lei sono morte la madre, il padre e la sorellina. Tutta la famiglia.
E Dario Capolicchio, studente ventiduenne originario diLa Spezia, trasferitosi a Firenze per andare all’Università. E i feriti, tanti, troppi, proprio di fronte alla Galleria degli Uffizi, luogo simbolo della cultura italiana nel mondo.
Uno studente universitario e una famigliola. Neanche a farlo apposta, i simboli più vicini all’esperienza di vita di scrive, comuni a quella di molti di noi. Ma non se n’è parlato in tv. Perché?
Secondo Giovanna Maggiani Chelli, dell’Associazione Famigliari delle vittime di via dei Georgofili, “la condanna di Tagliavia all’ergastolo per sette stragi è una grande vittoria della magistratura contro Cosa Nostra, ma” rincara la dose “ora bisogna trovare i mandanti; perché fino a quando i politici che ricevettero il papello di Riina non parleranno, non potremo conoscere i nomi di chi con la Mafia si è colluso per mettere a punto il massacro di Firenze”.
Si, perché la condanna a Tagliavia è stata possibile grazie ai riscontri compiuti dalla magistratura sulle dichiarazioni di Gaspare Spatuzza, il pentito di Cosa Nostra che sostiene l’esistenza di una trattativa Stato-Mafia volta a far finire la stagione dello stragismo, anche a costo di concedere dei favori ai boss corelonesi. Dichiarazioni considerate attendibili dalla magistratura.
E potenzialmente in grado di far esplodere un terremoto politico nel nostro Paese, in quanto si fanno i nomi di esponenti di rilievo della politica italiana, fra cui il Presidente del Consiglio Berlusconi e il suo consigliere Marcello Dell’Utri, indicati come interlocutori dei fratelli Graviano, boss del mandamento di Brancaccio.
“In questo Paese” continua Maggiani Chelli “c’è chi nel 1992/1993 ha trattato la dissociazione con Cosa Nostra affinchè la mafia potesse arginare il 41 bis e le condanne all’ergastolo senza pagare il suo debito conla Giustizia”.
Sono questi nomi, secondo l’associazione dei famigliari delle vittime, che devono saltar fuori perché si possa far chiarezza sul periodo oscuro delle stragi dei primi anni Novanta.
Un periodo in cui, scriveva Enzo Biagi, le bombe “ammazzavano anche la speranza”.
Un periodo su cui far luce per comprendere le oscure dinamiche di potere che hanno segnato la nascita della Seconda Repubblica.

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