di Claudio Campesi
LAUREANA DI BORRELLO (RC) – Maria Chindamo inserita nell’elenco delle vittime innocenti di mafia. È notizia recente, del 27 Febbraio da poco trascorso. Il prossimo 21 Marzo quindi «il nome di #MariaChindamo si trasformerà da memoria individuale a Memoria Collettiva e sarà letto insieme a quello di tutte le altre vittime innocenti delle mafie, in tanti luoghi dell’Italia e del Mondo … Da oggi, La Memoria di Maria non è un “ricordino” ma ancor di più è diventata Impegno Azione, Energia e Movimento. Io ho Memoria, io sono Memoria» ha commentato il fratello Vincenzo. Questo è solo un primo passo, utile a graffiare le coscienze di noi tutti, a svegliarci dal torpore intollerabile che, ancora nel 2021, vede molta indifferenza rispetto al tema mafie, nella società civile come nella politica. Noi vogliamo giustizia, per Maria, per la sua famiglia e per chi, con la propria storia, ha palesato l’ignominia e la viltà proprie delle organizzazioni mafiose, la loro unica natura ontologica.
LUPARA BIANCA. A certe latitudini, tuttavia, nessuno può fingere di non sapere a cosa si riferisca tale termine. Nessuno può fingere di non sapere a chi appartenga poi questo modus operandi spietato, vigliacco. Alle organizzazioni mafiose, alla ‘ndrangheta, ça va sans dire. Uccidere e far scomparire il corpo della vittima con il duplice intento di ostacolare le indagini e di infliggere ai familiari della stessa una sofferenza immane e duplice: la perdita di un proprio caro e l’impossibilità d’avere un luogo fisico dove piangerlo. Ancor più difficile è comprendere, provare anche solo ad immedesimarsi nel dolore di chi, da familiare, si ritrovi a lottare da anni per cercare verità e giustizia per un parente vittima di tale umana mostruosità.
LA STORIA DI MARIA. È il 6 Maggio del 2016 quando Maria Chindamo, giovane madre di 3 figli e stimata imprenditrice agricola di Laureana di Borrello (RC), viene aggredita e fatta sparire in prossimità della sua tenuta di campagna sita a Limbadi (VV). Sono le 7:15 circa, come ricostruiranno gli inquirenti in seguito, e poco dopo la sua Dacia Duster verrà ritrovata ancora accesa. Sulla macchina tracce di sangue e capelli della vittima ma nessuna impronta lasciata dagli assalitori, evidentemente non improvvisatisi tali ma professionisti. Nessuno ha visto nulla, nessuno ha sentito alcunché, il muro d’omertà si materializza, come sempre accade in questi casi. Iniziano subito le ricerche da parte dei familiari e le indagini degli inquirenti. Un lungo calvario che dura da più di 4 anni ormai. Maria viene fatta sparire esattamente un anno dopo rispetto al tragico suicidio dell’ex marito, Ferdinando Punturiero, mai ripresosi a seguito della paventata ipotesi di separazione coniugale. Coincidenze e casualità poco probabili che hanno fatto subito propendere per la pista della vendetta, maturata, si disse, in ambito familiare, con tutte le ricadute psicologiche che quest’ipotesi può aver fatto scaturire nei figli e familiari della vittima. Nel frattempo, continuano incessanti le ricerche del corpo della donna. Investigazioni fisiche che si dipanano dal circondario agricolo laureanese fino ad estendersi ai territori limitrofi. Nulla. Si moltiplicano negli anni le interviste e le iniziative di sensibilizzazione e richiesta di verità portate avanti dai figli di Maria, Federica e Vincenzino, e dal fratello Vincenzo. Persone stupende, con una forza straordinaria che racconta a tutto il mondo cosa sia la vera Calabria e chi siano i veri Calabresi. Libera sostiene la famiglia nel tentativo di ricercare verità e giustizia.
LA SVOLTA. Nel Luglio del 2019 arriva quella che viene definita dalla cronaca locale e nazionale “la svolta” per le indagini. Per la prima volta, dopo quasi tre anni dalla scomparsa, emerge il nome di uno dei possibili complici dell’ormai certo delitto. Viene arrestato Salvatore Ascone, detto “u pinnularu”, pregiudicato vicino alla potente cosca Mancuso e proprietario della tenuta agricola antistante a quella di Maria