di Adelia Pantano
Si è ricordato Giancarlo Siani nella giornata di apertura del festival Trame qualche giorno fa e nella città di Lamezia Terme è arrivata la sua Méhari. Nella penultima serata della manifestazione si continua a parlare di lui. Questa volta a farlo è Roberto Paolo, giornalista del quotidiano napoletano “Roma” e autore del libro “Il caso non è chiuso. La verità sull’omicidio Siani”, insieme a Giuseppe Maviglia, della Gazzetta del Sud.
Da sempre vi è stata la convinzione che il caso Siani si fosse concluso con la condanna all’ergastolo dei suoi assassini nel 1997, fomentata soprattutto dalla produzione letteraria e cinematografica incentrata sulla vita del giovane giornalista. Ma qualche anno fa, Giacomo Cavalcanti, dopo un lungo periodo di detenzione in carcere, decise di scrivere “Viaggio nel silenzio imperfetto” in cui raccontava i retroscena di alcuni delitti, tra cui anche quello di Siani. Cavalcanti sosteneva che non tutti i colpevoli erano in carcere, senza però citarne i nomi. Inoltre riponeva l’attenzione su degli articoli passati inosservati, in particolare quelli che si riferivano ad alcune cooperative infiltrate dalla camorra. “C’è un articolo del 5 aprile del 1985 in cui parla dei rapporti tra cooperative e malavita. Stava scrivendo delle cose gravi di cui nessuno si accorse e forse anche lui non ne capì la vera importanza”, ha affermato Roberto Paolo, che ha voluto continuare su questa strada. Nel frattempo anche la procura, sulla spinta del libro di Cavalcanti prima e di Paolo dopo, ha deciso di riaprire l’inchiesta sul caso, il cui fascicolo è oggi nelle mani dei pubblici ministeri Enrica Parascandolo e Henry J. Woodcock.
“La verità storica spesso non coincide con la verità giudiziaria”. Proprio per questo l’autore ha deciso di approfondire la vicenda: “Il libro di Cavalcanti non mi fece dormire la notte, iniziavo a nutrire anche io dei forti dubbi”. È iniziato quindi un lavoro meticoloso, un’inchiesta giornalistica che ha passato in rassegna tutti gli atti giudiziari scoprendo falle e contraddizioni nelle indagine che avevano portato alla sentenza definitiva.
All’interno del libro le piste su cui si concentra l’autore sono molte. Innanzitutto quella riferita agli esecutori materiali del delitto, su cui importante è stata un’inedita testimonianza di colui che avrebbe fornito le armi ai due assassini. Poi la pista delle sigarette, di quelle Merit ritrovate sul luogo dell’omicidio e che secondo le analisi del gruppo sanguigno, non coincidono con quello dei killer che in carcere stanno scontano l’ergastolo. E poi i dubbi su chi volesse la morte di Siani. Le carte processuali indicano il clan Nuvoletta come unico mandante dell’omicidio, escludendo il coinvolgimento dei Gionta, con l’assoluzione del boss Valentino Gionta. Ma su questo, Roberto Paolo ha cercato di fare chiarezza. Infatti si parlava nella prima parte delle indagini di un coinvolgimento del clan Gionta e del clan Giuliano in un business miliardario legate alle cooperative su cui avevano messo le mani e che volevano esportare anche nel territorio di Torre Annunziata. Ed è proprio ciò di cui Siani parlava nell’articolo che scrisse qualche mese prima di morire e che non venne riportato da nessun altro giornale.
“Per me le sentenze non hanno raggiunto una ragionevole certezza. Per questo il mio lavoro non deve essere considerato come una ricerca alternativa, ma semplicemente come un contributo” afferma l’autore, che non vuole raccontare tutte le piste su cui ha fatto chiarezza. Desidera lasciare spazio al lettore per scoprire la verità su un finale che già si conosce.