di Nando dalla Chiesa
E dunque Milano va verso il 21 marzo. Verso la grande manifestazione nazionale indetta per la giornata “della memoria delle vittime innocenti di mafia e dell’impegno”. Come già nel 2010, sarà il capoluogo lombardo a ospitarla. Allora cambiò la storia della città. 150mila persone “secondo la questura” dilagarono in piazza Duomo e oltre da ogni parte della Lombardia. Milano, che attraverso i suoi massimi esponenti politici e istituzionali aveva fin lì negato l’esistenza del fenomeno mafioso sul proprio territorio, scoprì in se stessa un’altra sensibilità. L’anno successivo elesse inaspettatamente sindaco Giuliano Pisapia, che aveva -tra l’altro-indicato la lotta alla mafia e la formazione di una commissione consiliare antimafia tra i suoi obiettivi.
Va detto a chi non vi ha mai partecipato: è una giornata imperdibile, che -sembra impossibile ma è vero- cambia e rigenera le coscienze. Nacque così. Un giorno del ’93 o del ‘94, a Palermo, a una commemorazione della strage di Capaci, vennero ricordate le vittime di quel cratere di fuoco che aveva sventrato l’autostrada tra l’aeroporto di Punta Raisi a Palermo, obiettivo Giovanni Falcone, il giudice antimafia per antonomasia. A un certo punto un’anziana signora iniziò a piangere, tirando la manica a don Luigi Ciotti, che stava partecipando alla cerimonia. Gli diceva “non è giusto” riferendosi a suo figlio. E il lamento non era rivolto al massacro mafioso, il cui ricordo le si era conficcato nel cuore, ma a qualcosa che era appena accaduto. Perché ricordando pubblicamente le vittime della strage si era fatto riferimento a Giovanni Falcone, a sua moglie Francesca Morvillo e “ai ragazzi della scorta”. Ecco, la signora era la mamma di Antonio Montinaro, il caposcorta di Falcone. E non aveva sentito il nome del figlio. “Anche il nome gli hanno tolto? Ma non abbiamo diritto tutti al nostro nome?” chiese in lacrime a don Luigi.
Dal rovello aperto da quel pianto, nacque l’idea di una grande giornata nazionale in cui fare in pubblico tutti i i nomi delle vittime innocenti di mafia. Uno per uno, tutti quelli di cui si era a conoscenza, con l’impegno di cercarli comunque nelle pieghe della storia italiana. Tutti alla pari, con un unico applauso finale di tutti i familiari. Vengono i brividi già a scriverlo, figurarsi a esserci dentro. Questo accadrà alle 11 in piazza Duomo, con il corteo che partirà da Porta Venezia. Dopo ci sarà il consueto discorso “di memoria e di impegno” di don Ciotti, senza saluti politici. Il giorno prima, alle 14.30, nell’aula magna dell’Università Statale, in via Festa del Perdono, si terrà la consueta veglia dei familiari, che giungeranno a centinaia da tutta Italia. E che si racconteranno tra loro le novità (quanti attendono ancora giustizia!), mentre qualche familiare sentirà per la prima volta la forza di prendere la parola o di partecipare, perché vi è anche, come spiegò Primo Levi, la vergogna di essere vittime.
Perché la veglia si terrà in aula magna, aperta a tutti? Per una ragione semplice e grande. Che l’università ha deciso di dare ai familiari la propria sala più solenne, simbolo del sapere accademico, per dire loro: magari non avete tutti un elevato titolo di studio, alcuni di voi non poterono andare oltre la scuola dell’obbligo, ma tutti insieme con la vostra rivolta e la vostra domanda di giustizia, con la vostra testimonianza, avete fatto crescere culturalmente il Paese, immettendo un grande flusso di sentimenti civili nelle vene della società italiana, delle sue scuole e delle sue università. Ecco, il 21 di marzo sarà questo. Informatevi il più possibile, venite e fatevi avvolgere da queste emozioni. Vi sentirete meglio. E probabilmente capirete come sia facile il nesso tra la memoria e l’impegno.